Me ne congratulo dunque seco, e non v'è progresso ch'io non mi prometta della sua lodevole applicazione e de' suoi colti e distinti talenti.
Non aspetti V. S. illustrissima ch'io faccia un discorso accademico, ricercando tutte le parti del dramma. Questo diverrebbe un trattato, per il quale a me mancherebbe il tempo di scrivere, a V. S. illustrissima la pazienza di leggere, e sarebbe del tutto inutile, non potendo io dirle di più di quello che potrà dirle il mio caro signor abate Pasquini, uomo benemerito del coturno italiano e suo e mio amico a segno che, conoscendo a fondo la mia mente ed il mio cuore, sa al pari di me come io penso e come io sento. Ma perché non possa ella dubitare della mia attenzione nella lettura del dramma e non possa credermi più ritroso del bisogno, eccole due picciole osservazioni. Tomiri nel fine del dramma è piena di sentimenti grandi, virtuosi e magnanimi; ma verso il principio medita, desidera e ordina un assassinio. Questa parrebbe duplicità di carattere, ch'è lo stesso che due quinte in musica. È vero che in natura si trovan pur troppo de' divoti scellerati e de' vigliacchi impertinenti, ma noi mal soffriamo i ritratti che esprimono le nostre bruttezze: ed il teatro esige caratteri decisi.
Il primo tratto della fisonomia d'Ircano mi par violento, non perché non stia bene al brutale carattere di lui, ma perché il comandante chiamato da lui vigliacco, secondo le nostre idee, rimane tale se non l'uccide o non si fa uccidere da lui in duello. È vero che il punto d'onore spagnuolo non era in uso al secolo di Tomiri; ma conviene rispettare i pregiudizi comuni, ed è questa una delle nostre più incomode servitù.
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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1548 |
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Pasquini Ircano Tomiri
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