Me ne congratulo non meno con me medesimo che con esso voi; e mi prometto che i vantaggi del posto ne eguaglieranno fra qualche tempo il decoro, promossi di giorno in giorno dall'accrescimento del vostro merito nell'assiduo necessario esercizio de' vostri distinti talenti.
Voi dite ottimamente, mio caro signor Lazzaroni, che le bestemmie degli uomini straordinariamente tormentati da un avverso tenor di fortuna spiegano a maraviglia l'eccesso d'un dolore che giunge a spezzare i ritegni de' più sacri e venerabili doveri. Ne sono ripieni i grandi poeti, e per esserne convinto basta ricordarsi l'espressione del pazientissimo Giobbe. E pure non posso negare che quelle stelle codarde, con cui incomincia il vostro dramma, arrestano subito il lettore, e non lo rendono favorevole. Convien pure che vi sia una ragione: cerchiamola.
La prima è che questa specie d'ingiuria fatta alle stelle, chiamandole codarde, che vale vigliacche, poltrone, è nuova alle nostre orecchie, e l'espressioni violente, non meno che le metafore ardite, naturalmente feriscono, se non sono autorizzate dall'uso. Io non vorrei esser il primo che avesse detto i prati ridono; eppure è questa oggidì metafora leggiadra e comune. Ma direte poi (e direte benissimo): converrà dunque dir sempre quello che gli altri han detto, privar la poesia del pregio della novità, ed in vece di autore rimanere sempre copista? No, mio caro signor Lazzaroni, convien sempre cercar di distinguersi; ma le novità in poesia, acciocché non offendano, hanno bisogno di esser preparate, come le dissonanze nella musica.
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Lettere
Parte prima
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1548 |
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Lazzaroni Giobbe Lazzaroni
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