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      Non ho letto con minor cura il picciolo dramma intitolato l'Alceste, né ho trovato in esso versificazione meno felice né immaginazione meno poetica, e con questo elogio terminerei il mio giudizio con ogni altro a cui fossi meno tenuto ed affezionato di quello ch'io veramente sono a V. S. illustrissima; ma simili reticenze mi paiono tradimenti con un amico del suo merito e che si abbandona alla mia fede. Le dirò dunque che, secondo le regole che mi ha prescritte non già l'autorità de' pedanti antichi e moderni, ma la lunga e faticosa esperienza, maestra più d'ogni altro sicura, il suo Alceste manca affatto di tutta la malizia drammatica. Le violente passioni ch'ella vuol mettere in moto non hanno le destre gradazioni che le preparano; i caratteri sono mal provveduti di quei tratti di pennello che decidono delle fisonomie; la curiosità del lettore non è sospesa abbastanza; non trasparisce alcuna pratica degl'interni nascondigli del cuore umano, ed il poeta, che in questa specie di lavoro dee sempre esser nascosto e parlar sempre con la mente e col cuore altrui, qui non si scorda mai di se stesso ed è sempre riconoscibile. Non si maravigli né si turbi, mio caro signor Rovatti, di questo, che forse le parrà strano parere. La provincia drammatica è la più difficile e pericolosa in tutto il regno poetico. Il gran Torquato, che ha tanto onorato l'umanità col divino suo Goffredo, ha provata questa verità con la sua tragedia del Torrismondo, che, a dispetto di tutta la venerazione dovuta a così eminente scrittore, ha bisogno di trovar molta costanza ne' suoi lettori per essere intieramente trascorsa.


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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1264

   





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