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      Questo passo può ben aver dato motivo all'apologhetto de' due vasi del dolce e dell'amaro, ch'io credo aver letto nel Trissino; ma non è lo stesso; anzi l'uno presenta un assioma morale opposto diametralmente all'altro. Giove, secondo Omero, ha due vasi a pie' del suo trono; questo pieno di contentezze e quello di guai, e ne dà, come a lui piace, all'anima che deve scendere ad informare un corpo, non curando un fico se quella poi ne soffra o ne goda; onde con questa figura si asserisce la fatalità, e si toglie all'anima tutta la libertà dell'arbitrio. Nel Trissino all'incontro l'anima è arbitra di prendere quanto ella vuole dai due vasi che a lei si presentano, e d'incominciar da quello che più le aggrada, e se prende sempre più dall'amaro nasce non da violenza di fato, ma dalla sua imperfetta maniera di ragionare; poiché, supponendo falsamente che i due vasi contengano la stessa merce, se gusta prima l'amaro prende poi poco del dolce, e se prima si è abbattuta nel dolce prende maggior porzione dell'amaro. Non so se l'invenzione o la correzione di quest'allegoria sia del Trissino o d'altro più antico filosofo; ma ne so buon grado a chiunque ne sia l'autore.
      Ho ripensato su la tanto da voi condannata definizione d'Ulpiano del diritto naturale, e parmi che essa possa sanamente spiegarsi. Dice egli essere dritto naturale quello che la natura ha insegnato a tutti gli animali. Eccovi la mia esposizione. È indubitato che di tutti gli animali la natura è maestra; ma sempre a tenore delle proprie loro diversissime qualità; insegna, per cagion d'esempio, a far uso dell'innata industria loro fabbricando la tela o la seta al bombice ed al ragno, ma non l'insegna perciò all'asino o alla testuggine.


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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano
1954 pagine 1264

   





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