Le espressioni, per cagion d'esempio, semplice e molle, semplice ed aspro, semplice ed amoroso, semplice e severo, e così in infinito, non involvono, a parer mio, contraddizione alcuna; poiché di mille infinitamente diverse modificazioni che possono esser oggetto de' gusti, è ottimamente capace una sola medesima costantissima semplicità, nella quale possono quelle trovarsi incluse, come la specie nel genere. Se poi io non ho distinti i diversi tempi dell'antichità è perché gli ho creduti tutti egualmente bisognosi della asserita semplicità; e non essendovi bisogno della categoria de' gusti, non mi è paruto necessario d'attribuire a quelli l'incostanza di questi. Eccole di bel nuovo il mio raziocinio, che mi studierò di render più chiaro. Io ne stabilii per fondamento, come supposto incontrastabile, che il teatro sia l'arbitro della sorte della musica. Nel teatro il popolo l'ascolta, e, imitator per natura, ne ritiene e ne va ripetendo ciò che più l'ha commosso nelle adunanze, ne' conviti, per le pubbliche vie, e tutto se ne riempie in guisa che ne sono finalmente occupati anche i tempii. Questa è verità da noi giornalmente sperimentata: e non l'hanno ignorata né taciuta gli antichi. Ovidio nel terzo libro de' Fasti, descrivendo le diverse allegre occupazioni, con le quali si tratteneva il numeroso popolo romano ne' prati di là del Tevere, nelle feste di Anna Perenna, dice:
Illic et cantant quidquid didicere theatris,
Et jactant faciles ad sua verba manus.
Ora il teatro per tutta l'antichità drammatica ch'io conosco, incominciando dai primi palchi di Eschilo, o s'ella vuole dai plaustri di Tespi coetaneo di Solone fra' Greci, e da Livio Andronico fra' Romani, il teatro, dico, è stato sempre un luogo all'aria aperta, capace d'un popolo spettatore sino alla moderna invenzione delle nostre anguste, coperte e limitatissime sale, che or noi onoriamo del nome di teatri.
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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1264 |
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