Il romore costì insorto intorno al signor abate Petrosellini può facilmente esser nato dall'avere egli scritto e mandato qui per commissione dall'impresario di questi pubblici teatri (non della Corte) un suo dramma giocoso che non credo ancora rappresentato, perché, quantunque da più di venti anni io non sia entrato in alcun teatro venale, mi sarebbe certamente capitato il libretto. Ma non v'è sicuramente la minima apparenza che i nostri sovrani abbiano, o per meglio dire vogliano più avere alcun bisogno né di musici, né di compositori, né d'architetti teatrali, né di poeti. Il gran teatro in cui nel palazzo imperiale si rappresentavano le opere per le persone auguste al tempo di Carlo VI è già da molti anni abbattuto e cambiato in una sala. Non v'è più alcuna cantatrice né musico alcuno in attual servizio, toltone qualche vecchio decrepito che gode in riposo le munificenze imperiali in premio de' suoi lunghi servigi. L'augustissima padrona dopo il suo stato vedovile si è sempre astenuta rigorosamente e si astiene da qualunque spettacolo, ed il prudentissimo nostro Cesare, persuaso con gran ragione che il primo suo obbligo è la conservazione del lutto, crederebbe gran fallo il distrarre in dispendi voluttuosi gli erari suoi, che lo stato militare assorbisce se pur si vuol conservar tale che in mezzo di tanti principi armati sia degno d'esiger rispetto. Vi dirò di più: so esservi qui state persone che hanno ardentemente aspirato a qualche aulica graduazione poetica: ma in virtù credo io dello stabilito economico sistema, non ostante le onnipotenti impegnatissime protezioni hanno finalmente dovuto deporne ogni speranza.
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Lettere
Parte seconda
di Pietro Metastasio
Mondadori Editore Milano 1954
pagine 1264 |
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Petrosellini Corte Carlo VI Cesare
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