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      Lo faceva intervenire nelle piú difficili discussioni de' casi di coscienza e nelle consulte di varii accidenti, ove si ricercasse il parere de' piú dotti religiosi, e spesse volte voleva che restasse a cibarsi nel refettorio suo. Imperoché quel cardinale, ad imitazione di quei antichi santi pastori Ambrosio et altri, frequentemente faceva vita comune e mensa con quelli del suo clero.
     
     
      [La prima denuncia al Sant'Uffizio]
     
      In questo tempo, prima di partire della provincia di Mantova per quella di Venezia, com'è d'ordinario che, per innocente e virtuoso che sia alcuno, non può esser senza contrasto o emulazione, fu denonciato al Santo Offizio dell'Inquisizione da un maestro, Claudio piacentino, suo coetaneo, ma che non potendo alzarsi co' studii e virtú al credito nel quale il padre Paolo era, pensò di pareggiarsi col atterrare questo a basso. Ma gli riuscí male, perché, sebene l'inquisitore ricevé l'accusa e ne formò processo, il fine fu che 'l padre non gli volse rispondere et appellò a Roma delle formazioni del processo. E scritto e fatto scrivere, avvocata la causa, il fine fu un fare all'inquisitore una grave riprensione, con tassarlo da ignorante. Et altro non era possibile che succedesse, perché l'accusa era che il padre, il quale sapeva la lingua ebrea, avesse sostenuto che dal primo capitolo della sacra Genesi non si poteva cavare l'articolo della santissima Trinità. E però oppose al giudice non solo l'essere accordato con l'accusatore, ma che non lo poteva giudicare, non avendo alcuna cognizzione della lingua ebrea.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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