Si sono bene fatta ragionevole maraviglia quelli che sono informati della verità, che sí come l'Acquapendente nel suo trattato De visu ingenuamente confessa aver da lui imparato il modo col quale nell'umore cristallino di refrazzione si faccia visione, e ch'egli è il primo osservatore che le tuniche dell'occhio siano opache e dense, come tutte l'altre, ma diventano diafane e trasparenti per esser di continuo imbibite d'un umor chiaro, come la natura nelle caverne de' monti rende diafana la terra, per sé medesima opacissima, per la continua irrigazione dell'acqua, come si può vedere ne' cuogoli, e come anco l'arte per l'infusione rende tralucide e trasparenti le scorze e radici, di sua natura dense et opache. Cosí, essendo tutto il trattato dell'occhio, che va sotto nome dell'istesso Acquapendente, o almeno tutto quello che contiene di nuove e pellegrine speculazioni et esperimenti, del padre, di che io ho parlato con quelli che sono testimonii oculari e di scienza, non abbia attribuita almeno parte della lode a chi si doveva tutta, ma molto piú in cosa di maggior momento, della ritrovata delle valvule interne nelle vene. Di qual argomento non si trova ch'alcuno, né degl'antichi, né de' moderni, abbia fatta menzione, perché era cosa incognita sin a' nostri tempi, che l'Acquapendente ne mosse la questione in una publica anatomia. Ma sono ancora viventi molti eruditissimi, et eminentissimi medici, tra questi Santorio Santorio e Pietro Asselineo francese, che sanno che non fu speculazione, né invenzione dell'Acquapendente, ma del padre, il quale, considerando la gravità del sangue, venne in parere che non potesse stare sospeso nelle vene senza che vi fosse argine che lo ritenesse, e chiusure ch'aprendosi e riserrandosi gli dassero il flusso e l'equilibrio necessario alla vita.
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