Ma quello che piú gli penetrò il cuore fu ch'asseriva scrivergli non solo dopo longa considerazione, ma con particolar inspirazione dello Spirito Santo; al che esclamò il cardinale: "Tu menti santarielo cacamierda", che servava ancora la favella napolitana, e chiamò il generale a Roma, ove in breve finí la vita: fu detto per riscaldamento in far a piedi le sette chiese, e chi disse anco con aiuto di costa.
Apportò la sua morte un scandalo grande a tutta la religione, perch'egli aveva, com'è detto, vivuto risserrato quindeci anni nella sua cella a vita santa, ove per indulto pontificio celebrava la messa, et ogni mercordí s'esponeva sul suo altare il santissimo sacramento, avanti quale stava in orazione sin'al venerdí, senza gustar cibo, et il suo vitto era sempre quadragesimale, e per il piú pane, frutti et acqua. La qual vita continuò anco nel suo carico quanto all'astinenza, et era stimato santo, e come di tale è anco scritta la vita e stampata; e per almeno anco da' contrarii si diceva di santa intenzione, benché non abile al governo. Non si può dir il biasimo del cardinale d'averlo messo sotto censura.
Trattò il padre col cardinale e cercò tutte le maniere di placarlo, perché, fatto questo, era terminato tutto. E gli riuscí singolarmente bene, perché il cardinale non mosse parola che di due cose: l'una, ch'avesse aderito e secondato l'impeto, anzi piú concitato ancora del generale; l'altra, di non voler pace con maestro Gabriele. A questo rispose rimetter ogni cosa in mano di Sua Signoria, e voler riconciliarsi.
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