All'altro piú longamente disse ch'aveva veduto maestro Lelio dal favore di lui fatto procuratore generale, di piú vicario generale apostolico, e sussequentemente generale, e che, come sua creatura, aveva desiderato la sua amicizia et osservata poi sempre, e convenuto seco nelle cose ch'aveva stimate di servizio di Dio e della Religione; et esser stato suo debito onorar uno che vedeva da esso sublimato sopra tutti, senza troppo curiosamente investigar le ragioni per le quali ciò facesse. Che se le cose erano mutate, questo esser accidente di fortuna. E gli raccordò che quando maestro Lelio fu creato generale, Sua Signoria con lettera di suo pugno glielo raccomandò, a fine che col suo voto e de' suoi amici l'anteponesse agl'altri concorrenti; in modo che non poteva né doveva interpretare tal raccomandazione altro ch'un comando, che cosí sono i prieghi delle persone tanto eminenti. E quanto all'aver egli incitato il generale, avendo Sua Signoria con sue lettere publiche a tutta la religione, dirette a' capitoli delle provincie, fatto indoglienze gravissime della natura impetuosa e violenta di maestro Lelio, era sicuro che Sua Signoria non aveva da sé questo concetto di lui, ma tanto diceva ad altrui suggestione, o false relazioni, a' quali era paratissimo fare risposta a sua discolpa, e che la sua prudenza penetrava tutto; né in vedendo un cocchio correre velocemente, si metterebbe in dubbio se 'l cocchio tirasse i cavalli, o questi il cocchio.
Gl'insinuò anco che del 1593, quattr'anni avanti per la vacanza del vescovato di Milopotamo, sua signoria lo richiese al pontefice per lui, e nella lettera sopra ciò scrittagli, essortandolo a disporsi ad accettarlo quando le venisse conferito, gli soggionse aver anco in secondo luogo nominatovi un altro, in evento ch'esso l'accettasse, per non esser certo della sua intenzione, per esser tanto ritirato et alieno da ogni altra cosa, che da una totale immersione ne' studii e quiete.
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