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      Questo meritava cader nelle mani di quelli che, dopo morte, come cani seguggi, non hanno lasciato viotolo, ove non siano andati traciando, per investigare qualche odore d'imperfezzione, ch'avrebbero ben veduto un uomo che non adulava sé medesimo, ma si scrutiniava da dovero ne' piú rinchiusi recessi del cuore istesso, e vedeva e censurava in sé medesimo quello ch'ad ogn'altro occhio sarebbe stato invisibile. E quelli che per il rimanente della sua vita piú di vent'anni intrinsecamente hanno vissuto seco, santamente ancora attestano non aver potuto osservar alcun tal difetto; perché forse in quei sei anni di studio nella morale si fosse veramente medicato, come fanno i veri possessori della sapienza, che studiano non per parer dotti, ma per esser veramente buoni.
      Ma tutto era niente rispetto all'affissione alle divine scritture, particolarmente del Testamento Nuovo, senza alcun espositore, ma co' soli testi greco e latino, che leggeva sempre da capo a fine, e lo ripetiva tante volte, che l'aveva tutto in memoria, et all'occasioni lo recitava in quel modo stesso, che per la cotidiana frequenza i religiosi sogliono recitare i salmi ordinarii. E l'attenzione era cosí profonda, che, secondo che nel leggere osservava di meditare qualche ponto, faceva nel suo Testamento greco, alla parola o verso, una lineetta di questa sorte --, e col leggerlo e rileggerlo, non v'era piú riga o quasi parola che non fosse segnata. Il che, avendo risaputo dopo morte un prencipe grande, per curiosità fece ricercar quel libretto.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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