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      Si scrivevano anco lettere, et a fra Antonio s'indrizzavano in mano di certo ebreo. Portò il caso che volendone l'ebreo dar una, si ritrovò fra Antonio fuori del convento, e venne la lettera in mano del padre fra Giovanni Francesco Segurtà, il quale, toltala, la portò al padre, narrandogli come aveva cavato di bocca all'ebreo che questo era negozio frequente. E come questa nazione è timida et accorta, gli disse anco che voleva dichiararsi con fra Antonio che non gli facesse capitare piú lettere, perché non sapeva che negozio fosse questo che cosí secreto correva tra loro. Fece il padre chiamare fra Antonio, gli diede lettera et intimò che o lasciasse di pratticare col perugino, o non capitasse piú nelle sue camere, che non voleva piú suo servizio. Si scusò al meglio che seppe e passò anco con certa piacevolezza, che gl'è molto naturale e lo rende grato e far stimare piú semplice che malizioso, che pratticava con lui per cavargli una buona boccanata de' soldi, che usò questa parola. Tanto piú il padre gl'interdisse quel commercio; il quale non fu troncato, ma seguitava piú nascosamente in casa di certa donna et in luoghi fuori di mano, sino che 'l negozio fu maturo.
      Imperoché una mattina nel far del giorno si ridussero in secreto colloquio nella sagrestia de' servi, ove longamente stati et osservati che facevano insieme gran dibattimenti, nel separarsi fra Giovanni Francesco cavò dalla saccoccia delle calze un rivoltolo, in carta sugarina, di cera accomodata per far impronti di chiavi, la quale, riscaldata per la prossimità della carne, trasse seco fuori dalla saccoccia un mazzo di lettere, le quali con il peso, non sostenute dalla cera, caddero in terra, che nissuno se n'avvidde, fra Antonio, ricevuta la cera sudetta, si partí per il convento, e quell'altro andò via.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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