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      Non si vedeva mai a far alcuna dell'azzioni solite agl'ipocriti, non mostrare corone in mano per strada, non bacciar medaglie, non affettare stazioni a tempi di concorso, non parlare con affettata spiritualità, non sordidezza nel vestire, ma una mondicie, povera sí, ma condecente. Questa s'è, esser una sorte incognita d'ipocrisia, che non ha alcuno, né oggetto, né fine, né circostanza di quella.
      Questo dialogo tra 'l nunzio Zacchia e Villiers fu occasionato in questo modo. È monsieur di Villiers un gentiluomo di gran sincerità e di cuore ingenuo, ma non molto capace degl'artifizii, massime de' cortigiani di Roma, i piú fini del mondo. Medicava in casa sua il signor Pietro Asselineo, la sincerità e bontà di natura, et amicissimo di quarant'anni al padre, al quale sempre riferiva che tutte le volte che i nunzii parlavano all'ambasciatore del padre, ne parlavano, con le prefazioni d'onore, come del piú tristo uomo del mondo. Se ne rideva il padre, o qualche volta diceva: "Cosí conviene che sia, perché io son da loro diversissimo in tutte le cose, e se essi sono i perfetti et i santissimi, dunque io sono piú tristo che non sanno dire". Ma pure rispondeva anco, se gli pareva la sua vita scandalosa tanto che meritasse quelli elogii dagl'ecclesiastici, che non saprebbe che fare per dar sodisfazzione a questi gran prelati, o da che cosa guardarsi per levargli da credenza cosí sinistra, e che vorrebbe una volta che 'l nunzio parli cosí di lui, l'ambasciatore l'interpellasse degl'argomenti di quella sua ipocrisia.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
pagine 190

   





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