L'amico informò l'ambasciatore, il quale all'occasione, e fu appunto il 16 febraro 1621, ch'entrato al solito il nunzio nelle solite maledicenze, gli replicò l'ambasciatore ch'egli uniformamente sentiva da tutti commendar il padre di bontà et integrità, et interpellò il nunzio che volentieri da lui intenderebbe quello che sappia con fondamento in contrario, per sapere che credere a chi altramente l'informava. Percosso sprovistamente dalla domanda, il nunzio non ardí di negar quello che l'ambasciatore diceva, perché era troppo noto, ma volse sbrigarsi col trattare le buone azzioni et innocente vita d'ipocrisia. Ma questo peggio gli riuscí, perché di nuovo l'interpellò l'ambasciatore qual fine scoprisse nel padre, o qual azzione esterna lo manifestasse ipocrita. E non seppe il nunzio far altro che declinare, divertendo ad altri propositi.
Ma perché nel padre tutto faceva impressione, non che cosa tanto importante, dopo i scherzi anco seriamente si sa aver scongiurato un suo intimo ad avvisarlo de' suoi difetti, et in particolare se colle regole della santa dottrina evangelica trovasse in lui argomento d'ipocrisia, perché l'uomo a nissuno è piú palese, né piú occulto ch'a se medesimo, et è quasi isradicabile dalla natura l'adulare se stesso e l'ingannarsi.
Simili dialogismi passarono insieme, dopo i tempi delli strepiti, in Spagna et alla corte del re Cristianissimo tra l'ambasciatore Pietro Contarini et il cardinal Ubaldini, allora nunzio in quella corte. Questo sempre infamava il padre con nomi odiosi per i scritti publicati e l'officio che prestava.
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