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      E dico arditamente ch'in tutto il corso del tempo ancora nissuno è arrivato forse al profondo della nichilità della natura umana (cosí mi sia lecito dire, perché il padre cosí parlava), stimandosi un niente.
      Resta impresso nell'animo di chi seco trattava la sua umiltà che s'arrossiva come una vergine al sentirsi lodare delle sue piú eccellenti doti. E se bene stimava molto un certo gentiluomo ancor vivente, pieno d'erudizione filosofica e politica et in belle lettere eccellente et eloquente dicitore, però il padre lo fuggiva quanto poteva, per questo solo rispetto, che sempre lo salutava et intitolava "illustrissimo padre", avendo rispetto al merito e virtú, e non all'uso. Anzi, si risolse fargli accennare da maestro Fulgenzio questo suo affetto; ma quel signore diede la risposta: "Et a chi si doverà quel titolo, se non si dà a quest'angelo del cielo?" E sempre che domandava del suo stato, lo faceva con forma simile: "Che fa quell'angelo del paradiso?" Questo era il principal frutto de' suoi studii, indrizzati non all'ostentazione, ma alla vera sapienza, al coltivare l'anima sua, il maggior bene di questa vita, et all'umiltà.
      La prudenza suol far gl'uomini un poco rigidi e duri nel trattare; et in vero il padre in altri tempi era stato tassato di tali mancamenti, e lui medesimo nell'anatomia de' suoi affetti e diffetti, ove si vede avergli notati per combattergli e vincergli, si riconosce tale, duro, severo, inofficioso. Ma aveva cosí superati questi affetti, che la sua affabilità e mansuetudine era cosa singolare, la modestia maravigliosa, che mai disse ad alcuno che vedesse in errore, o mal intendesse un negozio, né una parola che lo potesse disgustar; ma usava in confutare o in far ravvedere termini cosí civili, che pareva ch'egli volesse rendersi all'altrui parere, ma che l'impedisse la sua incapacità, che non gli lasciasse vedere come le ragioni d'altri provassero e le sue fossero resolubili.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
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Fulgenzio