Il martedí seguente prese medecina, ma senza alcuno sollievo. Il mercordí volse uscir di camera et andar cibarsi nel refettorio, dal quale alle sue camere, oltre le scale, è longo tramite, e lo fece appoggiato sopra due, tutto tremante, ma coll'animo il medesimo. E sempre admesse le visite e ragionava delle cose solite e niente del suo male, eccetto col medico, e brevissimamente ancora, e passava il tempo sedendo sopra la sua seggia, facendosi leggere. In questi giorni tutti faceva essattissimo essame della sua anima, con totale resignazione in Dio e con un cuor tanto lieto, quanto il corpo era piú afflitto. Et agl'assistenti celava tanto la sua infermità, che né per mostra d'alcun dolore, né voce di lamento, né intermissione delle sue ilarità, potero sapere se non quello che il mancamento delle forze, l'aborrimento de' cibi e la manifesta relassazione accusava. Non è però ch'egli non avesse piena cognizione del suo stato; perché se bene al padre maestro Fulgenzio, che piú volte lo ricercò, come era solito in tutte le infirmità s'egli sarebbe morto di questa, rispose che gli pareva di dover avere male longo e forse cader in quartana; al medico, però, et amico cordialissimo, il signor Pietro Asselineo, primieramente nel vedersi da lui gli escrementi, si pose il dito alla bocca, come si fa in richiedendo silenzio, dipoi disse liberamente il suo stato, ma che fosse contento non lo palesar al padre maestro Fulgenzio, per non lo tormentare, il quale però fosse stato ben poco prattico, se non l'avesse conosciuto; anzi, i mesi avanti era vivuto con quella preparazione, e dalle cose dette dal padre era già avvisato.
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Dio Fulgenzio Pietro Asselineo Fulgenzio
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