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      Piú volte in vita sua aveva discorso che sperava nel Signor Iddio conoscer quando fosse vicino al suo fine, ma che non avrebbe detto cosa alcuna ch'a maestro Fulgenzio, perché ciò non poteva servire d'altro che di metter confusione e far abbandonar quelle diligenze, che Dio vuole che non si tralascino. Ma però non osservò di farlo, che celò il suo stato e non credé fosse bisogno manifestarlo piú che da se medesimo si facesse palese.
      Il giovedí, la mattina mandò a chiamar il padre Amante da Brescia priore e lo pregò che lo raccomandasse all'orazioni de' padri e che, celebrati gl'officii divini, fosse contento portargli la santissima comunione, dicendogli anco ch'aveva vivuto nella povertà della religione, senza cosa sua propria; che tutto quello che si ritrovava nelle sue camere concessogli ad uso, come fa tutta la religione, restava nelle sue mani, come sempre era stato in libera disposizione de' suoi superiori. E gli presentò una chiavetta d'un armario, in quale erano i residui delle provisioni che la serenissima republica gli donava, né altro era chiuso, ma tutto patente, eccetto quell'armario et un altro, ove si ritrovano le scritture pertinenti al publico, che non dovesse esser toccato.
      Egli però si fece vestire al suo solito e spese tutta quella mattina in farsi leggere vicendevolmente, ora dal padre maestro Fulgenzio, ora da fra Marco, salmi e le narrazioni de' santi Evangelii della passione di Cristo, facendogli opportunamente cessare, per star in divota meditazione. Provò piú volte se poteva stare inginocchiato, ma la franchezza dello spirito non poteva piú reggere, la languidezza del corpo.


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Vita del padre Paolo
di Fulgenzio Micanzio
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