Era questo stato favorito e diffeso dal padre Paolo in molte occorrenze, mosso da compassione al suo cervello non consistente. Questo dopo, o introdotto da un certo luganese suo cognato, che si diceva servire di spia, o, come io ho per piú verisimile, dalla propria temerità e pazze speranze, in casa del signor nunzio, si disse aver fatte relazioni degne di lui, che mai conobbe obligo di dire verità o di servar debito di modestia. Anzi che anco fosse essaminato e registrata la sua narrazione, mi par inverisimile, benché il frate se ne vantò per vero. Certo è che di là se ne tornava al convento pieno di concetti che per la sua naturale pazzia (perché è stato pazzo e notoriamente conosciuto tale, ma però maledico e maligno al possibile) non potendo celare, anzi dicendo publicamente che presto saria stato da piú del provinciale e generale. Ma poco durò; perché i ministri del nunzio erano troppo abili a conoscere la portata delle persone e che profitto poterne trarre. Può essere anco che fossero informati delle sue qualità e costumi, che per onestà non si ponno narrare. Ma basti velargli col dire che notoriamente è muliebriter infamis et vita probrosus, et appresso i superiori era stato diffeso dalla sola pazzia d'esser stato piú di quindeci anni senza confessarsi o recitar offizio, benché celebrasse la messa. Al che volendo i superiori trovar rimedio, è ritornato apostata, come altre volte è stato. Non sia mai veduta questa nota, perché potrebbono le relazioni di costui un giorno comparire sotto nome di teologo e maestro, come altre, con nome e senza, hanno fatto da Roma commettere al vicario generale apostolico, maestro Filippo Ferrari d'Alessandria, di fare certe gravi inquisizioni contra altri.
| |
Paolo Roma Filippo Ferrari Alessandria
|