V'ha di più, in quella parte delle classi inferiori nella quale l'originaria brutalità si è meglio conservata, e la più sfornita di morale educazione, la legale schiavitù della donna e la sua obbedienza passiva, quasi strumento inerte alla volontà del marito, ispira a questi una sorta di disprezzo, ch'egli non prova per un'altra donna nè per un'altra persona, e che gli fa considerare sua moglie come un oggetto fatto e nato per subire ogni specie d'indegnità. Che un uomo capace di osservare, e che si trova a portata di farlo, venga a smentirci, ma s'egli vede le cose al par di noi, non si meravigli del ribrezzo e dell'indignazione che possono ispirare istituzioni che conducono l'uomo ad un grado simile di depravazione.
Ci si dirà forse che la religione impone il dovere dell'obbedienza. Quando una cosa è troppo manifestamente cattiva perchè non si possa in nessun modo giustificare, ci si viene invariabilmente a dire ch'essa è prescritta dalla religione. La Chiesa, è vero, prescrive l'obbedienza nei suoi formulari; ma sarebbe assai difficile far sortire questo precetto dal cristianesimo. Ci si grida che S. Paolo ha detto: «Donne state soggette ai vostri mariti;» ma egli ha anche detto agli schiavi: «Obbedite ai vostri padroni.» Il cômpito di S. Paolo non era di spingere alla rivolta contro le leggi esistenti; istigazioni di tal natura non convenivano al suo scopo, la propagazione del Cristianesimo. Ma dacchè l'Apostolo accettava le istituzioni sociali come le trovava, non ne consegue ch'egli fosse per disapprovare tutti gli sforzi che si fossero potuti fare in tempo utile per migliorarle, come la sua dichiarazione «ogni potere viene da Dio» non sancisce il dispotismo militare, non riconosce questa forma di governo come sola cristiana e non comanda l'obbedienza assoluta.
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