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      Quand'anche potessimo farne senza, come conciliare la giustizia col rifiuto che noi loro facciamo della loro parte di onori e di distinzioni, o del dritto morale di tutti gli umani a scegliersi le loro occupazioni (quelle eccettuate che nuocono ad altrui) dietro le individuali vocazioni, ed a loro proprio rischio? E non è qui che s'arresta la ingiustizia: essa colpisce anche coloro che potrebbero approfittare del servigio di queste donne. Decretare che delle persone siano escluse dalla professione medica, dal foro, o dal parlamento, non è ledere quelle persone soltanto, è ledere tutte quelle altresì che vorrebbero impiegare i loro servigii nella medicina, nel foro, nel parlamento; è sopprimere a loro detrimento l'influenza eccitante che un maggior numero di concorrenti eserciterebbe sui competitori, è restringere il campo sul quale la loro scelta può esercitarsi.
      Io mi limiterò nei particolari della mia tesi alle funzioni pubbliche; questo basterà, io credo, poichè se riesco sopra questo punto, mi si accorderà facilmente che le donne dovrebbero essere ammissibili a tutte le altre occupazioni alle quali può loro convenire di essere ammesse. Io comincerei da una funzione assai diversa da tutte l'altre, della quale non si può loro contendere l'esercizio, per qualche obiezione cavata dalle loro facoltà. Voglio parlare del suffragio per le elezioni parlamentari e municipali. Il dritto di prender parte alla scelta di quelli che devono ricevere un pubblico mandato, è una cosa affatto distinta dal diritto di concorrere per ottenere il mandato.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161