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      Questo deve risultare evidente per coloro stessi che non dividono alcune altre delle opinioni ch'io qui difendo. Quand'anche tutte le donne fossero spose, quand'anche tutte esser dovessero schiave, non sarebbe men necessario di dare a queste schiave una professione legale; poichè sappiamo troppo bene qual protezione possono gli schiavi aspettarsi, quando le leggi sono fatte dai padroni.
      Quanto all'attitudine delle donne a partecipare alle elezioni non solo, ma ad esercitare eziandio pubbliche funzioni, o professioni gravate di pubblica responsabilità, ho già fatto notare che questa considerazione nè giova nè pregiudica il fondo della questione pratica che discutiamo, dappoichè ogni donna, che riescisse nella professione che le viene aperta, prova perciò stesso che ne è capace e che per le cariche pubbliche, se il politico regime del paese è costituito in modo da escludere l'uomo incapace, escluderà medesimamente la donna incapace, mentre che, se è costituito altrimenti, il male non sarà diverso nè maggiore, perchè l'incapace risulti una donna invece di un uomo. Dacchè si riconosce a delle donne, per quanto scarso ne sia il numero, la capacità di occupare queste cariche, le leggi che lo negano loro non potrebbero giustificarsi coll'opinione che si potrebbe avere della generalità delle donne. Ma se questa considerazione non tocca il nerbo della questione, essa è ben lungi dall'essere senza valore; esaminata senza pregiudizi, essa dà una forza nuova all'argomento contro le incapacità delle donne, e gli presta l'appoggio di alte ragioni di pubblica utilità.


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161