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      Non accordare a delle persone alcuna esistenza propria, non permettere loro l'esistenza che sotto la dipendenza altrui, è incoraggiarle troppo a sottomettere altri ai suoi disegni. Quando non si può sperare la libertà, ma che si può mirare al potere, il potere diviene il grande obietto della vita dell'uomo; quelli ai quali non si lasciano amministrare i propri affari si soddisfano occupandosi degli altrui con vedute egoiste. Di là deriva eziandio la passione delle donne per la bellezza, gli ornamenti, l'ostentazione, e tutti i mali che ne sgorgano sotto le forme del lusso e dell'immoralità sociale. L'amor del potere e l'amore della libertà sono in eterno antagonismo. Dove la libertà è minima, la passione del potere è più ardente e spudorata. Il desiderio del potere non può cessare d'essere una forza depravante nella specie umana se non quando ciascun individuo potrà fare i suoi affari senza impadronirsene; il che non può essere che nei paesi dove la libertà dell'individuo nei suoi proprii affari è un principio riconosciuto.
      Ma non è solo il sentimento della dignità personale che fa della libera disposizione e della libera direzione delle proprie facoltà una fonte di felicità, e della loro servitù una fonte d'infelicità per l'uomo non meno che per la donna. Dopo la malattia, l'indigenza ed il sentimento della colpabilità non v'ha nulla di sì fatale alla felicità della vita che la mancanza di una vita onorevole e di un'uscita per le facoltà attive. Le donne che hanno una famiglia da curare, per tutto il tempo che questo incarico pesa sopra di loro, vi trovano un impiego per la loro attività, e questo generalmente basta; ma qual'uscita per quelle donne ogni giorno più numerose che non hanno avuto occasione di esercitare la vocazione che si chiama, per canzonatura certamente, la loro vocazione?


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La servitù delle donne
di John Stuart Mill
Carabba Editore Lanciano
1932 pagine 161