Questa condanna è la legge (o consuetudini forti quanto le leggi) che la pronuncia contro le donne. Ciò che nelle società dove i lumi non hanno penetrato, è il colore, la razza, la religione, o la nazionalità nei paesi conquistati, per certi uomini, il sesso lo è per tutte le donne: è una esclusione radicale da quasi tutte le occupazioni onorevoli, quelle sole eccettuate che non possono essere eseguite da altri, o che questi altri non trovano degne di loro. I patimenti provenienti da questa sorta di cause incontrano d'ordinario così poca simpatia, che poche persone hanno conoscenza della massa di dolori che produce oggi ancora il sentimento d'una vita sciupata; questi dolori si faranno più frequenti ed intensi a misura che l'incremento dell'istruzione aumenterà la sproporzione, fra le idee e le facoltà delle donne e lo scopo che la società riconosce alla loro attività. Quando consideriamo il male positivo cagionato ad una metà della specie umana dall'incapacità che la colpisce, dapprima la perdita di ciò che v'ha di più nobile e realmente appagante nella felicità personale, ed in seguito, il disgusto, la decezione, il malcontento della vita, che ne prendono il luogo, noi sentiamo che, di tutto ciò che gli uomini hanno d'uopo per lottare contro le miserie inevitabili della loro porzione sulla terra, nulla v'ha di più urgente che imparare a non aggiungere ai mali che la natura ci fa subire, per soddisfare gelosie e pregiudizii, restringendo mutuamente la loro libertà. I nostri vani timori non fanno che sostituire ai mali che temiamo senza ragione altri mali e peggiori, mentre che restringendo la libertà d'una dei nostri simili per altri motivi che per domandargli conto dei mali reali che ha cagionati servendosene, noi dissecchiamo d'altrettanto la fonte principale dalla quale gli uomini attingono la felicità, ed impoveriamo l'umanità sottraendole i più inestimabili dei beni che rendono la vita preziosa ai suoi membri.
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