Era la vigilia del Natale.
- Di grasso! gridò indispettito, offeso, sdegnato che si osasse anche sol sospettare che egli poteva fare il magro nella vigilia del Natale.
Coprì d'improperi il cameriere, che gli portò la cena.
Cenò e bevette qualche gotto di vino. Durante la cena gli ritornarono alla memoria le parole di Narciso Rossi, che gli sembravano così paradossali. L'anima non misura gli spazi del pensiero colla misura del tempo.
L'anima!
L'uomo non ha anima!
La neve aveva ripreso la sua discesa. Le vie erano deserte. I rari passanti si affrettavano a raggiungere le loro case. Egli vide le finestre di fronte alle sue illuminate; vide gli strani bagliori di alberi di Natale, ricchi di candele e di lampadine elettriche: gli sembrava di udire il riso argentino di bambini e fanciulle, che danzavano felici attorno all'albergo(1), grate al Bambino Gesù per i bei doni.
Natale.
La gioia di quella famiglia gli dava sui nervi; lo riempiva di sdegno. Nel Natale ebbe principio la più terribile tra le tirannidi, la teocratica. Un uomo colto deve maledire il Natale.
Eppoi udì il suono delle campane. Erano le ventidue; esse invitavano ai sacri uffici nelle varie chiese.
Quel suono, così solenne nella notte fredda, piena di neve, ne aumentò lo sdegno.
Maledetto! Ma domani..... domani...
Vuotò rapidamente un altro gotto e poi si abbandonò nella sua sedia a bracciuoli e guardò distratto l'allegro fuoco, che schioppettava nel caminetto: una sua singolarità. Odiava le stufe. Voleva vedere il fuoco, quel fuoco che avrebbe purgato un giorno l'umanità.
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