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      Ma le sue speranze non si erano avverate. Molti Io temevano, molti lo odiavano, molti lo volevano veder umiliato; la sua umiliazione premeva loro assai più della loro libertà. Non vedevano il loro vero nemico nel proconsole romano, che li teneva domi, li soggiogava alla dominatrice del mondo; vedevano piuttosto in lui un rivale pericoloso, che andava umiliato. Nessuno lo aiutò; uno o l'altro favorì anzi i romani. Si venne alla lotta, ed egli fu vinto. Le centurie romane, bene armate di bronzo, furono insensibili alle leggere frecce; i suoi invece non poterono resistere al loro impeto; molti fuggirono; molti vennero mietuti dalle loro spade, molti furono trapassati dalle loro lancie. Dall'alto del suo destriere egli aveva diretto la pugna e cercato d'infiammare i suoi e di condurli al trionfo; ma quando aveva visto sbaragliati i suoi uomini, prima invincibili, da(4) un pugno di nemici, inferiori di numero; quando gli avversari si erano lanciati contro di lui; quando aveva udito la voce del centurione gridare: "Mille sesterzi a chi lo piglia vivo", un terribile spavento lo aveva incolto. Morto sì, ma schiavo mai. Aveva dato di sprone al suo cavallo ed incominciato quella fuga pazza, da parte sua, quell'inseguimento pazzo da parte loro.
      Fuggire? Dove? Alla sua oasi, per condurre colà il nemico; per dargli in preda le donne, i fanciulli, il suo oro? Mai! Si lusingava, che il nemico non avesse trovato la via dell'oasi, non si fosse spinto fin là, a predare, sgozzare ed incendiare; si lusingava di poterlo allontanare in un'altra direzione.


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I sogni dell'anarchico
di Ugo Mioni
Libreria Artiginelli Milano
1922 pagine 134