Beveva, beveva! Mio serpente, sii lodato! Beveva, beveva! Il liquore era denso, caldo, nauseabondo, dolcignolo. Sangue! Ma egli non ci faceva conto. Non badava alla nausea che esso gli recava; era un liquido che spegneva la sua sete grande, intensa, infuocata, che gli faceva ritornare la vita.
Beveva, beveva. Bevette fin che non ne potè più, e poi si abbandonò sulla carogna del suo cavallo, incapace di più muoversi, in preda ad un dolore di testa infinito; in preda a certi tremiti, a certi vomiti spaventosi, che poi cessarono, lasciandogli una grande sfinitezza e facendolo cadere in un supremo letargo....
Un dolore terribile ai polsi lo fece rinvenire. Spalancò gli occhi. Il sole era alto ed innondava il deserto di sua luce gialla, festosa, calda, e a quella luce egli vide attorno a sè degli uomini sbarbati, nell'odiato costume romano, udì le loro risa di scherno e si vide strette le mani da pesanti catene. La predizione della cometa si era avverata. Era prigioniero, era schiavo.
Cercò di spezzare quelle catene; invano. Volle balzare in piedi, ma era incatenato anche a questi. Gridò, urlò, si dimenò, ma essi risposero alle sue grida, alle sue proteste, ai suoi urli, con alte risate di scherno, con parole beffarde. Egli non li comprendeva. Il loro gergo era così diverso dal latino, che parlavano a Cartagine e del quale egli aveva appreso alcune parole dal suo precettore. È buona cosa conoscere anche il gergo degli avversari, per rilevarne le intenzioni.
Ma poi ricordò che era principe, e che quegli erano schiavi; che non doveva dare loro spettacolo di sè; che non doveva destare il loro scherno, le loro risa; che doveva imporre loro colla sua dignità, e più non si mosse.
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Cartagine
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