Quella sera la cometa apparve di nuovo. Essa destò in lui una lieta speranza. Non era apparsa dunque per lui, per annunziare la sua sventura, chè questa era compiuta. Annunziava la rovina dei romani? Venisse! Non l'anelava per la propria liberazione, ma perchè li odiava tanto.
La marcia continua. Non ne può più, e riceve dal centurione un colpo di sferza sul dorso; il primo colpo, che sfiora le sue vergini spalle. Urla più che dal dolore dalla rabbia, dallo sdegno, dall'infinita vergogna; lui, un principe, battuto di verga! stringe i pugni, vuole gettarsi, colle mani legate, contro l'audace che lo ha battuto, ma viene ricevuto a colpi di verga, abbondanti.....
Hanno passato il deserto e sono arrivati su territori fertili, ben coltivati, fittamente abitati, dove il suo passaggio viene accolto ora da parole di scherno, di beffe, ed ora di meraviglia, di stupore. Nessuno ha compassione di lui. Egli muore dalla vergogna nel vedersi meta di quello stupore, di quello scherno, nell'accorgersi che nessuno lo compiange.
Giunge finalmente a Cartagine, dove viene trascinato dal proconsole. Ode parole di scherno. Viene considerato prigioniero di guerra e condannato alla schiavitù imperiale. Verrà mandato a Roma. Protesta. È africano, è principe. La guerra fu ingiusta; esige la libertà; si dichiara pronto di venire a patti; di assoggettare la sua tribù ai romani, di riconoscere l'imperatore, di pagare un annuo tributo. Le sue parole vengono accolte con un riso di scherno. La sua tribù più non esiste; è stata annientata; tutti gli uomini sono morti e le donne trascinate sui mercati; la sua oasi è diventata proprietà del fisco.
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Cartagine Roma
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