Lo conducono allo stabulum, fra gli schiavi, dove la verga lo costringe all'ubbidienza, al lavoro. Il cibo è scarso, le piaghe molte, il lavoro faticoso. È incatenato assieme a prigionieri di guerra, frementi di libertà; a delinquenti, condannati per volgari delitti, a schiavi, nati tra le catene, che non hanno mai gustato la libertà, che hanno cambiato di spesso padrone e furono acquistati dallo stato per venire inviati a Roma.
Fra gli schiavi vi sono parecchi suoi antichi sudditi, catturati nella battaglia o nella sua oasi e parecchi suoi antichi schiavi, lieti quest'ultimi che il loro antico padrone sia pure schiavo. Egli è stato sempre un padrone molto crudele; non ha mai avuto compassione di loro; non può chiedere, che essi abbiano ora compassione di lui.
III.
L'immensa estensione del mare. La trireme, mossa da cento robuste braccia che muovono il remo, vola sulla tranquilla superficie del Mediterraneo, il gran mare, il bacino della civiltà. Vola, ma non trasporta passeggieri, lieti di fare il bel tragitto; felici di andare verso l'Italia, bramosi di vedere Roma, la grande ammaliatrice del mondo; ma trasporta una schiera di infelici, i quali vengono inviati a duro lavoro, ad un trattamento disumano; che hanno da aspettarsi, in Italia, a Roma, una crudeltà maggiore ancora di quella che hanno dovuto soffrire sul suolo africano.
La disciplina di bordo è draconiana. Gli schiavi sono troppo numerosi. Potrebbero accordarsi coi galeotti e tentare un colpo di mano. Perciò i soldati sono di una severità eccessiva.
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