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      Perciò aveva incendiato lui, cioè no, i cristiani, la eterna città; essa non doveva portare più il nome di quel meschino che fu Romolo, ma il suo. Doveva chiamarsi, d'ora innanzi, Neronia, la sua città.
      Pensò alla casa di oro che si era fatta costruire e dove abitava. Giove grande, ti ho superato! Neppure gl'immortali, sull'Olimpo, avevano un'abitazione, che potesse gareggiare colla sua!
      Si sentiva stanco, sfinito dell'orgia del giorno innanzi. Aveva durato una notte, ed un giorno ed alcune ore della notte; fino alla terza vigilia. L'aveva allestita per ricordare i suoi grandi trionfi nella Grecia.
      La festa era stata degna di lui. Quale profusione dei cibi più rari; quanto lusso; e quei regali! Egli aveva donato ad ogni ospite la tavola di argento incrostata di verde malachite, la sedia di argento, il vasellame d'oro, gli schiavi che lo avevano servito, il fanciullo che gli aveva versato il vino nella coppa ed una bella schiava di Oriente, dalla pelle candida come l'alabastro e dalle leggere tinte rosee nelle guancie di velluto. Egli stesso aveva scelto quelle bellissime schiave tra le molte, che possedeva e la sua scelta era stata felice, perchè egli s'intendeva di bellezza femminile. Ne era il più profondo conoscitore.
      Eppoi.... eppoi.... Ricordava i cibi rari, la musica, i canti.... tutti avevano applaudito ai celebri cantanti, che egli aveva fatto venire dalla Grecia lontana. Avevano applaudito, perchè non avevano udito lui, il sommo Apollo.
      Lo avevano supplicato di cantare. Ed egli, finalmente, si era arreso ed aveva cantato, destando, più che entusiasmo, vero delirio.


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I sogni dell'anarchico
di Ugo Mioni
Libreria Artiginelli Milano
1922 pagine 134

   





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