O questi cristiani!
Malcontento di sè stesso girò infuriato per il palazzo. Ammazzò con una pedata nel ventre una fanciulla, che aveva amato ieri e che gli si era fatta incontro col sorriso sulle labbra; condannò a morte Pitagora, spudorato liberto, che aveva sposato pubblicamente a Corinto, vestendolo da imperatrice, per profanare, con quella infame parodia, i riti sacri matrimoniali; girò quella sera vestito da Apollo, in lettiga, tra le fiaccole ardenti, non pago dei crucirati delle sue vittime: ne avrebbe preferito l'adulazione. Chiese l'indomani adorazione dal senato e la ebbe; fu al Circo, acclamato dalla folla Apollo e padre degli dei; vide sangue, molto sangue, e non ne fu pago; ideò novelle costruzioni; la casa d'oro doveva arrivare fino al mare; sognò immensi giardini, fiumi navigabili, laghi artificiali, sporgenze di terreno ricche di alberi, sognò.... ma niente lo appagava.
Diede banchetti senza fine; invitò migliaia di patrizi, di senatori; allestì orgie infami; commise delitti nefandi, per appagare la propria sete di gaudio; si adirò con Poppea Sabina che portava sotto il petto il suo figlio e con un calcio la uccise; la fece poi imbalsamare, proclamare dea, e bruciare in onore di lei tanti incensi, quanti l'Arabia produce in un anno.
Ma non trovava l'ebrezza che sognava; il gaudio che sospirava. Dovunque gli si presentava la nausea.
Ed allora decise di recarsi a Napoli.
III.
Fa il viaggio, con mille vetture; giganteschi carri portano le sue corone, che non vuole abbandonare a Roma, che conduce seco, tanto gli sono care.
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