Deve fuggire.
Un cortigiano gli suggerisce:
- Apriti le vene.
È il solo, che gli è rimasto fedele.
Il suicidio! Mai! Non può privare il mondo del suo canto. La fuga! Si getta ai piedi del cortigiano.
- Salvami!
Poi cambia pensiero. - Uccidimi! lo supplica.
Nessuno osa farlo, si teme.
- Suicidati!
Non ha coraggio. Fugge sopra un povero ronzino, seguito da quattro servi; uno solo gli è fedele, gli altri lo seguono costretti.
Un servo fedele; un fenice - Chi sei? Perchè non mi abbandoni tu pure?
Il servo, il povero schiavo, gli parla; cerca di sollevarne lo spirito, di destare in lui fiducia in Dio. Un cristiano! Maledetti cristiani!
Giunge al Tevere. Si vuole gettare nelle sue acque ma non ha coraggio.
- Alla villa di Faone.
È un liberto che ha beneficato, che ha amato, che gli sarà rimasto fedele.
La via è polverosa; il caldo soffocante. I rari passanti guardano con indifferenza il cavaliere, madido di sudore, in groppa al magro ronzino, seguito da quattro schiavi; certo un uomo povero. Ignorano, che egli è il dominatore del mondo.
Lo era. Ora non lo era più.
Sciocco! Perchè non ha rinunziato all'impero? Gli dei gli hanno pur dato il canto!
Giunge da Faone.
- Il senato ti ha deposto; ti ha giudicato. Sei stato dichiarato nemico della patria. Ti hanno condannato alle forche!
Il senato! Quei senatori, che ha tanto beneficato, che ha avuto ai suoi piedi, che lo hanno dichiarato l'amore e la delizia del genere umano, il miglior tra i Cesari. Il senato! Maledetti, maledetti!
È adirato con se stesso, che li ha tollerati in vita, che non li ha fatti scannare tutti, tutti.
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Dio Tevere Faone Faone Cesari
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