Eppoi pensa a se stesso. Deposto, condannato alle forche! Gli avessero lasciato almeno l'Egitto!
- Suicidati!
Deve suicidarsi. Le forche. Mai! Ma non sa decidersi.
- Scavatemi la fossa.
Mentre la scavano gira desolato per la villa, per i giardini. Il sudore dell'angoscia gl'imperla la fronte; il cuore gli si stringe come in una morsa; gli si fa scuro avanti agli occhi; si sente tanto infelice. - Un grande artista perisce! esclama.
Soffre, pensando al suo canto, e rumina fughe. Vuole salvare la vita, andare in Grecia, e colà cantare, cantare.
- Suicidati!
- Il mio canto?
- Non suicidarti! Ricorri a Dio. Lo prega; invoca il suo aiuto e ti rassegna alla sua volontà! Quello che vuole il Signore!
È lo schiavo cristiano che gli suggerisce così. Egli si avventa sdegnato contro di lui.
- Maledetto! Mi vuoi vivo acciocchè il senato mi conduca alle forche!
Lo uccide.
E mentre osserva sdegnato quel cadavere, imbrattato di sangue, che giace ai suoi piedi, viene ansante un nunzio.
- Cesare. Vengono!
- Chi?
- I messi del senato per catturarti e condurti alle forche. Odi.
Ode il calpestio dei cavalli. Le forche! Mai! Non può indugiare.
Vuole cacciare il pugnale insanguinato nelle mani del messo.
- Uccidimi! Ti prego, ti scongiuro! Uccidimi! esclama con angoscia di morte. Ha tanta paura della morte. Gli manca il coraggio del suicidio.
- Suicidati!
Il calpestio si fa più vicino. Ecco apparire i soldati a cavallo. Deve, deve!
Un ultimo sguardo al sole, che splende infuocato sul cielo: agli alberi verdi del giardino, La vita è cosi bella, e dover piombare nel regno delle ombre!
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Egitto Grecia Dio
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