Siano nere le nostre vesti ed abbrunate le nostre armi. Vogliamo lottare, vincere o morire. Non possiamo vivere mentre Milano è distrutta, nè vedere l'abiezione estrema della patria amata! Al giuro, amici, al giuro! La compagnia nera della morte! O vincitori o morti! Sant'Ambrogio, Sant'Ambrogio!
Le destre impugnanti i pugnali si alzano verso il cielo e le labbra pronunziano il terribile giuro, che consacra quei giovani alla morte per la patria. Essi, che avevano avuto da lei la vita, erano disposti di sacrificarla per conservarle la libertà.
II.
Passano i mesi, lunghi, durante i quali egli gira di qua, di là, organizzando le masse, destando entusiasmo, esercitando i giovani, esortandoli a fare anche il maggior sacrificio per la patria.
E Milano risorge. Le sue mura? I nostri petti. Abbiamo costruito una novella città; la vogliamo chiamare Alessandria, in onore del nostro duce supremo, Alessandria non ha bisogno di mura; e se mura devono essere, la circonderemo di paglia. I nostri petti saranno anche a lei mura. La Chiesa e l'Italia combattono la battaglia decisiva, per la libertà, per la vita. Se Alessandro non vince non potrà più ritornare a Roma e maledetti apostati, infami e vili creature imperiali, profaneranno la maggior basilica; sulla tomba del Pescatore mani sacrileghe offriranno la gran vittima, e l'Italia sarà per sempre schiava dell'invasore.
Alla lotta, per la fede e per l'Italia. Egli comprende, che questi due concerti non possono venir separati; che l'Italia ha bisogno della fede per la sua vera grandezza; che solo la religione del Cristo la può rendere grande; che la sola fede riempie i cuori di nobili palpiti; che non vi può essere vero amore di patria senza vero, sentito, intenso amore alla Chiesa.
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