Bottino italiano!
Non hanno preso a lui quelle cose; le hanno prese a Roma, e Roma è Italia, come è Italia Venezia, Loreto, Firenze, Siena e le cent'altre città, che il francese possiede, che il francese saccheggia.
I carri sono senza numero; sono dieci, venti, trenta, quaranta almeno; tutti sì onusti che stentano a procedere.
I quadri ne soffrono. Arriveranno, in parte guasti al destino. E poi il carradore gli narra di certi scartafacci buttati via lungo la strada, per alleggerire i carri; di certi volumacci bruciati di notte per mancanza di combustibile e coi quali era stata preparata la cena; di qualche quadro di minor mole venduto.
Ve ne erano tanti quadri sui carri; nessuno li aveva contati, nessuno li avrebbe numerati. Uno di più, uno di meno. Ed egli piangeva su tanto sperpero, su questi danni incalcolabili, e pensava che quei furti erano in buona parte inutili, perchè non giovavano neppure alla Francia; parte del bottino veniva sciupato per via.
Povera Italia! E nessuno alzava la voce alla sua difesa.
Ma che cosa è quella vettura, che avanza in rapida corsa? È(11) così semplice, così umile; viene trascinata da due cavalli veloci, cambiati all'ultima posta e agli sportelli cavalcano due dragoni francesi.
I carradori piegano le ginocchia e tendono le braccia verso la vettura.
Egli vede in quella tre uomini, due preti, in veste nera, uno dei quali dal volto cereo, spiritualizzato, colle stimmate di un dolore infinito, mentre di fronte a loro siede un ufficiale francese, serio, duro, istecchito.
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