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      Il fattorino aveva fatto già il sacrifizio mattutino a Dio Bacco. Tra le dita, coperte da un paio di guanti di lana, una volta grigi, ed ora coperti di sudiciume, egli teneva una lettera.
      - È lei il signor Giunti? - domandò.
      - Chi manda?
      - È lei o non è lei? - insistè il fattorino
      - Date qui.
      - È lei o non è lei? - ripetè il fattorino, il quale aveva fatto delle libazioni durante tutta la notte e non sembrava disposto a cedere la lettera senza aver prima risposta a quella domanda.
      - Sì - rispose l'anarchico, che si era accorto dello stato anormale del fattorino.
      - Prenda - rispose questi soddisfatto, dandogli la lettera.
      - Chi manda? - insistè Giunti da canto suo.
      Il fattorino rise.
      - Un uomo in calzoni. - rispose. - Matta idea la sua. Mi diede la lettera qua, sulla strada. Buona idea la mia di appostarmi il giorno di Natale. Cioè. Non mi era appostato. Ero stato a Messa Diamine. Ci vado a Natale ed a Pasqua. Non sono mica un cane io. Eppoi ero andato a bere un bicchierino. Tempo cane, signori. Loro signori non sentono l'inverno. Hanno una bella abitazione, mangiano bene, bevono meglio, sono ben vestiti. Ma verrà il giorno, sa! Non sono anarchico io! il ciel mi guardi! Ma verrà il giorno; deve venire il giorno..! - esclamò il fattorino, e i suoi piccoli occhi lustri, brillavano di una luce strana, tra il minaccioso e l'allegro. Egli assaporava già ora le gioie di quel dì, vicino o lontano, ma che doveva certo venire, nel quale sarebbero state livellate le condizioni sociali ed egli avrebbe potuto passarsela come i signori, liberi questi di fare i fattorini se credevano, e magari di mendicare.


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I sogni dell'anarchico
di Ugo Mioni
Libreria Artiginelli Milano
1922 pagine 134

   





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