Anzi (cosa mirabile a dire) che il fratello, che si andava alla scuola di gramatica, non sì tosto era a casa tornato, che gli era lei d’intorno e facendosi mostrar e dire quanto gli era stato insegnato ed aveva egli imparato, in maniera se lo scolpiva nella mente, che maggior profitto fece ella assai di lui; e talmente poi si diede allo studio delle lettere umane, che con lo aiuto delle gramatiche, che leggeva ed imparava e con l’arpicordo del Saraceni in breve tempo venne a tale, che intendeva benissimo ogni libro latino e mediocremente scriveva in quella lingua ogni cosa.
Tanto era diligente nel conservare i suoi puerili scritti, che niuna cosa più le era a cuore di questa; onde occorse un giorno che avendo il Saraceni a fare in due luoghi in contado, cioè in Villa di Geminiana sotto Campo San Piero e in Villorba sotto Sacile, e andandovi però più del tempo d’estate, come quello, che per esser commodo poco curava l’essercizio dell’avvocato, nell’andar una volta da Geminiana a Sacile, essendo tutti nel proprio cocchio montati (percioché non ancora s’usavan carrozze) nel passar il rapidissimo fiume della Piave sopra Lovadina, vi cadde una picciola cestella, dove erano tutte le scritture e composizioni riposte dell’ancor picciola figliuolina e per la rapidità del fiume fu portata, che più non si vide, onde talmente ne rimase ella attonita e sì incominciò a piagnere, che per molto che se le dicesse, non poteva acquietarsi, e per molto tempo ancor dopo le durò quella mestizia e dolore, finché per la sua profonda memoria repetendo le cose perse, quelle di nuovo con diligenza, rescrisse.
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