«Piacesse a Dio - disse allora Cornelia - ch’egli così sempre vi trattasse, e non ve ne seguisse peggio, ma voi non sapete che ’l pan delle nozze si mangia presto».
«La signora sposa - disse Lucrezia - è ancora in dubbio e pende con l’animo or da una parte, or dall’altra e ha ragione, perché da novello tutto è bello».
«Anzi - disse Leonora - dite pur che da novello tutto par bello».
«Quel che par - rispose Lucrezia - io giudico che sia tanto quanto quel che è, perché dirò per essempio, se una vivanda al mio gusto par buona, benché non sia, è come se fusse».
«Voi mi fate ridere - seguì Leonora - e non è dunque maraviglia se quella fornaia, che per star tutto il dì inanzi il forno si scoppiava di caldo, corse a spogliar nudi i suoi figliuolini, che di fuori al vento giocavano, parendoli che essi patissero il caldo, che ella per altro pativa, benché fusse di mezo inverno». Di ciò ridendosi Cornelia disse:
«Lodato sia Dio, poiché pur possiamo dire delle piacevolezze così per rider tra noi e far ciò che più ne aggrada, che qui non è chi ci noti o chi ci dia la emenda».
«Apunto - respose Leonora - che se per caso qualche uomo ci sentisse ora a contar queste si fatte burle, quante beffe se ne farebbe egli? Non potressimo vivere».
«Se noi vogliamo poi dire il vero - disse allora Lucrezia - noi non stiamo mai bene se non sole e beata veramente quella donna che può vivere senza la compagnia de verun’uomo».
«Parmi - soggiunse Leonora - che io mi viva in riposo e che io senta una somma felicità nel ritrovarmi senza, considerando quanto sia bella cosa la libertà».
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