Quivi si vedevano aranzi e cedri soavissimi con fiori e frutti di così grato odore che non meno rallegravano il cuore che dilettassero la vista di chi gli odorava. Lascio di raccontar la bella e varia quantità de vasi lavorati con cedri e fiori delicatissimi di varia sorte e di minute mortelle e tenerissime erbette, co’ quai si formavano i triangoli, gli ovati, i quadrati ed altre maniere di grazioso artificio. V’erano pergolati di gelsomino, labirinti di edera vivace e selvette di figurati bossi che facevano maravigliar qualunque esperto giudicio. De’ frutti poi non ragiono, percioché di tutte le sorti, secondo i lor tempi, v’erano in gran copia; e le utili piante fra le dilettevoli poste, con grazioso intervallo, rendevano sì bella vista, che non se ne poterono le donne dar pace. E così caminando di luogo in luogo, pervennero ad una bella fontana, che era nel mezo di questo giardino fabricata, con sì rara e diligente maestria che è impossibile a raccontarlo. Per ciascuna facciata e da’ canti di questa fontana era una figura di donna bellissima in piedi, coi capei intrecciati, dalle cui mamelle scaturivano ad arte, come da doppia fonte, abbondantissime acque chiare, fresche e dolci. Ciascuna di queste donne aveva in capo una ghirlanda di lauro e nella sinistra mano un ramiscello d’oliva, intorno il quale un picciol breve con aperte lettere si avvolgeva e nella destra portavano diverse imprese. Percioché una di esse vi aveva un Armellino bianchissimo, che si teneva sopra la spalla, allargandolo dal petto per non bagnarlo e il moto, che nella sinistra portava, aveva questo verso:
| |
Armellino
|