Prima morte, che macchia al corpo mio.
L’altra si arreccava nella dritta mano la Fenice, che unica vive al mondo e nella manca aveva scritto:
Sola vivomi ogn’or, muoio e rinasco.
La terza portava un Sole e diceva il moto:
Solo porgo a me stesso e ad altri luce.
La quarta sosteneva una Lucerna nel cui lume vedevasi una picciola farfalla accesa e distrutta e il breve esponeva questa sentenzia:
Vinta da bella vista, io stessa m’ardo.
La quinta aveva per impresa un Persico con la foglia pur di persico e un verso che diceva:
Troppo diverso è da la lingua il core.
Ma la sesta portava un Cocodrillo e il breve diceva così:
Io l’uomo uccido e poi lo piango morto.
Avevano oltra di ciò queste figure scritto in fronte una lettera per ciascuna e la prima vi aveva un A, la seconda una T, la terza una S, la quarta un H, la quinta una I, la sesta un M. E il tutto era così bene distinto e così divinamente lavorato che pareva più tosto cosa viva e naturale, che finta e fatta con artificio. E mirando e lodando or questa, or quella cosa del bel giardino, con molto piacer e con altretanta maraviglia, disse Adriana a Leonora:
«Deh, che paradiso è questo Leonora, che avete in questo mondo? E a chi non piacerebbe lo starvi?».
«Parmi - soggiunse Cornelia - che per esser questo un paradiso dove si apparecchia da mangiar e da bere, noi vi avremo da tornar più di tre volte». E ciò disse perché in quello le serve di Leonora eran venute di suo ordine con vini delicatissimi e frutti e confezioni da rifrescare la compagnia.
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