E così, essendo che l’amor discende e non ascende, perciò l’ama essa tanto, che per reo che egli si sia, non può la tenera madre abbandonar, né scacciar da sé le sue proprie viscere e perciò soffre volontieri ogni sua malvagità; il che non fa del marito che, se non può viver seco per la sua tristizia, quando ha ben sofferto e sofferto, facilmente (potendo) si separa da lui. E ciò si vede far ogni giorno da molte savie donne, che non potendo aver tanta pazienzia di sopportarli, si dividono da i tristi mariti, per non aver da provar l’inferno inanzi della morte. Il medesimo aviene dei padri, che oltra che, come ho detto, l’amor discende e non ascende, con più facilità e con manco dolore possono le figliuole abbandonar i poco loro amorevoli padri, che non si piglian cura di loro, come dovrebbono. Ma i figliuoli, ancor che siano più malvagi e lor diano più travaglio, tuttavia l’amor materno è di tal possanza, che le dispone a soffrir maggior cose; dove che i figliuoli all’incontro son molto obligati verso le madri loro e dovrebbono essi non altramente trattarle, che le loro persone istesse, in quanto che possono». Allora disse Corinna:
«L’altro giorno a questo proposito mi fu mandata una ottava fatta in persona d’una giovane, la qual aveva il padre, il marito e ’l figliuolo in gran pericolo di morte ed aveva auttorità di salvarne uno solo di essi, qual più l’era a grado ma ella non sapendo a qual risparmiare la vita, poiché tutti tre le erano carissimi, dimanda consiglio, come si deggia in tanta dubbiezza risolvere, con questi versi che io vi dirò:
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Corinna
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