«Quelle donne che vanno poi a marito, o al martirio (per meglio dire) infiniti sono i casi delle loro infelicità. Perché prima vi sono di quelli mariti, che tengono tanto in freno le mogli loro, che a pena vogliono che l’aria le veggia; di modo che quando credono esse, con l’aver preso marito, aversi acquistato una certa donnesca libertà di prender qualche ricreazione onesta, si trovano le misere esser più soggette che mai; ed a guisa di bestie, confinate tra le mura, essersi sottoposte, in vece d’un caro marito, ad un odioso guardiano. E certo che con tal dispregio sono causa questi tali di farne precipitar tante e tante, che sariano più savie, se essi fossero più benigni ed amorevoli che non sono».
«Ma voi non dite di tal - soggiunse Leonora - che con l’esser così geloso e perciò far mala compagnia alla moglie, si persuade da sé stesso di poterle far la guardia, e non sa il povero sciocco, che la donna allora veggendosi esser in poca stima ed averle poca fede il marito, si lascia apunto trasportar a far il peggio che sa. Ove all’incontro, quando una moglie si vede esser in buona fede appresso il marito, e che egli la lascia nella sua libertà, ella stessa si pone il giogo al collo e diventa gelosa di se stessa; perché oltre la gloria, che ella si vede riceverne, si paga anco di ragione, poiché veggendosi così ben trattar dal marito, non li vien voglia, per mille occasion che le vengano, di rendergli così mal cambio; e s’astien, e patisce più tosto, e vince le tentazioni. E veramente, non vi è la miglior guardia dell’onor d’una donna, quanto la sua propria volontà e disposizione.
| |
Leonora
|