».
«In verità - disse la Regina - se noi volemo pigliare e domesticar un cagnuolino, gli diamo del pane ed un uccelletto se gli dà del miglio; che se si dessero loro delle mazzate si farebbono sdegnar e fuggir via».
«E per ciò vi dico - disse Lucrezia - che la colpa è tutta del marito, che non ha giudicio, né discrezione, onde non può, né sa parteciparla con la moglie; ed essendo ambi malvagi, perché si deve riprender lei sola e non egli ancora? Anzi bisognaria di ragione o castigar tutti due, o niuno, o ’l marito solo per le ragion sopradette».
«Ma lasciamo - disse Cornelia - omai un poco da parte la querimonia e le ragioni che avemo contra li mariti e ragioniamo alquanto della peggior condizion che sia tra gli uomini, la quale è de gli amanti finti ed ingannevoli».
«Questa è ben - disse la Regina - una impresa ed una materia da coturni e non da socchi; rispetto non alla dignità, ma alla dificultà, che mi par impossibile, che voi siate sufficienti per narrarne una minima particella, non che varcar sicuramente un tanto pelago, che non ha termine da verun lato; pure entratevene allegramente, che all’uscirne poi non mancarà mai di pregar Amore, che vi presti le sue ali; o vi bisogneranno le penne incerate di Dedalo per fuggirne via, inanzi che tanti innamorati, de’ quali cominciate a dir male, vi si voltino contra».
«Più presto - aggiunse Lucrezia - le sarà di mestiero il mantello di Leombruno per girsene coperta ed invisibile». Rispose Cornelia:
«Io non dirò mal de gli innamorati, se pur ve n’è alcuno, ma di quelli che son detti con questo nome, e poi in effetto son tutti il contrario».
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