«Questa pietà in caso di morte non ebbero già molti padri verso le loro figliuole - ritolse Cornelia - perché molti di essi potendo dar un’altra vita alle loro figliuole con accasarle con quei, che esse amavano, le hanno più tosto lasciate morir d’amore».
«Mi fatte ridere - disse Lucrezia - io vorrei più tosto morir d’amore che morir da fame, come facea Erisitone».
«Sì certo» disse Elena.
«Basta - seguì Cornelia - tutto è morte. Ma quei padri poi, che per cagion d’amore le hanno senza pietà uccise?».
«Che vorressi - disse Lucrezia - che un padre sopportasse una vergogna in casa?».
«Questo no - rispose Cornelia - ma che con destro modo vedesse di levarle l’occasion e la pratica (il che è maggior prudenzia, e minor scandalo senza poner a romor tutto il mondo e far ragionar de i casi suoi) e a tutto suo poter distorla, allontanarla, minacciarla e tentar ogni strada, eccetto quella della morte, ultima delle cose terribili; perché oltra la inumanità che usa, non le lieva però la macchia ed anzi vi è di più la quasi certa perdita dell’anima, che più importa che tutto il rimanente».
«I Gentili - disse Corinna - non guardavano a ciò, perché Pomio trovando la figliuola ingannata dal suo maestro in errore, spietatamente l’uccise. L’istesso fece Blandemo figliuol di Zeusi. Né so se debbo dar lode o biasimo a Virginio, che non cercò inanzi di uccider il decemviro Claudio o se medesimo più tosto che con le man proprie immolar la innocente fanciulla».
«Voi in somma volete inferir - disse Lucrezia - che l’uomo in tai casi si dovria governar con ragione e non con passione».
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