Infiniti altri essempi si potriano addurre dell’amor nostro verso i mariti, ma saria di soverchio contarli a voi».
«Bisognerebbe contarli a gli uomini» disse Leonora.
«Eh - aggiunse Corinna - lo sanno ben essi; ma fanno in ciò l’ignorante. Quanti mariti all’incontro hanno trattato e trattano malamente le mogli? Egli è cosa tanto commune ed ordinaria che non occorre contarne essempi, perché sono quasi tutti ad un modo. De gli amanti non accade ancor che io vi ragioni, che pur troppo si son trovate di quelle che hanno patito per amar questi uomini ed infin da loro sono state beffate, tradite ed abbandonate. Ma lasciamo andar questo. Se per virtù di castità meritano le donne esser amate, è cosa chiara senza ch’io vi dica altro più di quel che è detto circa la lor costanza; però lascio di contarvi mille essempi di donne antiche, così catoliche, come gentili; né starò a ricordar il fatto di Lucrezia, di Polissena, di Didone, di Zenobia e delle fanciulle tedesche con tanti altri di che gli istorici fanno menzione. Se per benignità e mansuetudine meritamo esser amate, si sa che noi non possiamo, per gran iniuria che ci venga fatta, tenir odio contra persona alcuna e che una buona parola ci fa scordar tutte le noie passate. Di modo che io non so, che ragione rimanga a gli uomini, cara Verginia, per non amarci; poiché per ogni parte meritiamo noi d’esser amate da loro, il che volendo più chiaramente esprimere saria impresa da stile più tosto angelico che umano, che i nostri meriti sono infiniti e i beni che nascon da noi per bear l’altre creature.
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Leonora Corinna Lucrezia Polissena Didone Zenobia Verginia
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