«E che onor ci sarebbe - disse Cornelia - che noi ricevessimo dote da loro? Non ci degneressimo mai d’esser così coprate per la nostra grandezza e poi siamo come le gemme di tanto valore che non abbiamo prezzo».
«Non so tante cose - disse allora Lucrezia - ma ho ben sempre udito a dire: ‘vuoi far far cervello ad un uomo, dagli moglie’, quasi dica pongli un peso, un gravame, un travaglio che l’occupi tanto, che gli levi tutti i suoi contenti e gli impedisca ogni suo bene e che in somma quando uno ha preso moglie, possa dire ‘sta con Dio buon tempo’».
«Voi la errate, Lucrezia - rispose Corinna - non pigliate la cosa a roverscio. Sapete perché si dice ‘chi vuol dar senno ad un uomo gli dia moglie’, non come dite voi, ma anzi perché pigliando egli una tal compagnia, savia, discreta, virtuosa, dolce, amorevole convenga mal suo grado volger il suo cervello, per inanzi sviato e mal in affetto alla volta di casa e ritorni ne i termini della ragione, sì per il nuovo amore, che di ragione dee mettere nella nuova sposa e sì anco per il buono essempio della onesta e buona pratica della sua donna».
«Fate conto - disse Leonora - di veder una carozza tirata da dui corsieri, l’uno generoso, bello, bene avezzo ed ubbidiente al morso e che sempre camini per la via dritta; l’altro bizzarro, restio, terribile, capriccioso e che sempre esca di strada e tenda di rovinar ne’ fossati e di rompersi ’l collo, se non fusse il buon che ne lo distrae e ritira al dritto e buon viaggio; questo è ’l mal che riceve il marito dalla moglie, che lo ritira dal mal operare ed arreca su la via del far bene».
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