«Oh ben - disse Leonora - mancava per aggiunta che dopo aver detto dell’astrologia contaste anco ad uno ad uno tutti gli astrologi; e dopo che direte? Tornarete a dir de gli uccelli e gli numerarete anco le penne, io sto aspettando vedete».
«A punto - disse Lucrezia -. Di grazia, Corinna, seguite un poco di quelli, che cominciaste, che predicono i tempi ed altre cose, che occorreno».
«Oh - aggiunse Leonora - che mi fareste bene; credo che diciate da dovero io».
«Eh lasciatela, chi di grazia» rispose Lucrezia.
«Gli antichi - disse Corinna - pigliavano augurio da molte sorti di uccelli sopra i casi loro, ma noi come buoni catolici non dovemo por mente a sì fatte superstizioni. Quante cose favolose hanno lasciato scritto i poeti circa questi uccelli, come dell’aquila, del pavone, della pica, della rondine e sì fatti».
«Dicono gli uomini - disse Elena - che noi si assimigliamo alle piche, perché abbiamo molte ciancie».
«Ed essi - rispose Cornelia - a che denno assimigliarsi?».
«Al corvo che avemo già detto - rispose Leonora - poiché ove vanno non ci apportano se non tristo augurio».
«Grazioso uccello - disse Lucrezia - è veramente il pavone, se non fosse quel suo stridare».
«II pavone - aggiunse Corinna - è comune opinione che sia il più bello e ’l più vano animale volatile che si trovi e molto è vago di spiegar la pompa delle occhiute penne, se non che poscia mirandosi aver così sozzi piedi, per gran vergogna disfa la sua ruota e si pone a gridar così forte, perché non si vede così perfetto, come vorrebbe rispetto al rimanente.
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