Ma non credete voi che in questi nostri paesi vi sia tal cosa che a noi, che la vediamo e trattiamo, par nulla ed in altre parti lontane dee parer impossibile e mostruosa».
«Certo sì - disse Cornelia - ma di che pensate voi che ella si pasca? Non è uccello di rapina come l’aquila, non vive di grano, perché se ciò fusse saria veduta spesso per le campagne».
«Credo io - disse Corinna - che si cibi di manna celeste e di aromatici sudori di quelle felici piante dell’odorato e lucido oriente».
«L’aquila - aggiunse Cornelia - ho inteso dire esser di due spezie, cioè di color bigio l’una e l’altra bianco, ma in fine penso che ciò sia una favola».
«Credo che avete bona opinione - rispose Corinna - L’aquila è regina de gli altri uccelli ed è di generosa natura, chiamasi uccel di Giove e però è detto regale e sacro; è di vista acutissima e franca, percioché solo fra tutti gli altri uccelli può guardar fisso nel sole e da ciò è amaestrata per natural instinto di reconoscer i suoi figliuoli; percioché subito nati gli espone alla vista del sole e, stando essi franchi a mirarlo, gli ha per legitimi, cioè dell’uova sue proprie, ma se mirando essi si abbagliano nel lume, come figli suppositi d’uova d’altri uccelli gli getta e precipita del nido. Di più, con tutto che sia grande di corpo, non è uccello che più si levi in alto di esso, percioché sorvola e trapassa le nebule. Sono leggerissime e di tanta forza che ponno nelle branche levar una pecora di terra e portarsela per aria a pascersi ove lor piace».
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Cornelia Corinna Cornelia Corinna Giove
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