«Credo ben io - disse la Regina - che questo sarebbe un gran bel vedere».
«Deono - disse Lucrezia - gli uomini aver imparato a navicar da questo essempio».
«Oh - disse Leonora - pensate pur, che miglior mastro vi volse per sì importante dottrina».
«Certo chi ben considera - disse Cornelia - fu molto temerario il primo che usò far passaggio di lido in lido, fidandosi di solcar l’instabili onde senza fondamento e senza certezza di cosa veruna e fu anco ingegno maraviglioso quello che per ciò si pose a fabricar navi, galee e legni piccioli di tante sorte».
«Ma - disse Corinna - di tempo in tempo si sono assottigliati l’intelletti e s’hanno sempre trovato cose nove da migliorar tali edifici, che non tutti in un tempo, né per una persona sola sono l’opre maravigliose del mondo ridotte a perfezione».
«Ancora quando è buon tempo - disse Cornelia – che ’l mar è bonaccia, mi par pure che mi parria buono andar così costeggiando per mare d’intorno le nostre riviere; ma l’andar così lontano e poi quando sopraviene qualche gran tempesta, oime, che spavento deve esser quello e che travaglio de quei poveri naviganti».
«Sì - rispose Leonora - ma quante persone s’annegano senz’andar in mare ed io per me non vado mai fuori di casa che io non oda a dir di qualche una: oh povera giovene ella è affogata dal tale. Credetemi pure, che se ogni donna vi pensasse bene, più temeria di porsi alle man d’un uomo che i marinari all’arbitrio del mare e de i venti».
«Invero - aggiunse Cornelia - son molto più navi che donne, che arrivino a buon porto».
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