«Questa è ben una bella novella, ma par che sia più in favor de gli uomini che delle donne».
«Fate conto - rispose Corinna - d’aver udito una favola».
«Sì sì - disse Lucrezia - però diteci pur così di qualche altro animale, né restate, benché dite mal delle donne, che in ogni modo il ben de gli uomini, come ’l mal delle donne non si può dir se non in favola».
«Che volete che vi dica - rispose Corinna - s’io volessi contarvi della destrezza del cavallo, dell’ingordigia del lupo, della mansuetudine della pecora, dell’astuzia della volpe, della pazienzia del gatto, della timidità della lepre, della fedeltà del cane, saria cosa più tosto da scrivere, che da ragionarne; e tanto più che sì di questi, come d’infiniti altri, Plinio ed altri auttori ne trattano diffusamente; benché anco da altri autori fedeli si raccolgano molte cose degne di memoria».
«Egli è gran tempo - disse Elena - ch’io desidero di saper che inimicizia occolta s’abbia il lupo con l’agnelo, il leon con la pecora, la volpe co ’i polli, il topo con la gatta ed altri animali così aerei, come acquatici tra loro; e donde sia nata questa lor gran discordia, che sempre l’un perseguita e l’altro fugge».
«Questa - rispose Corinna - non è nimicizia dalla parte più potente, ma proprio instinto, che la natura le ha dato di pascersi di quello; e però non perseguita o mangia la sua preda per odio che le porti, né per disamicizia che s’abbi seco, ma solo perché conosce che quello è il pasto datole dalla natura. All’incontro il meno potente, che è per essempio la pecora, fugge il leone non perché l’odi, ma perché teme, sapendo anco essa, per natural instinto, che quel tale è suo persecutore a tal fine di mangiarselo e cibarsi di esso, e perciò come nemico mortale lo fugge e s’allontana dalla sua morte».
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