«Almanco - disse Verginia - si potessero serbar li frutti tutto l’anno, come si fanno l’altre cose».
«Li frutti - aggiunse Corinna - son a nostri tempi più per diletto del gusto che per necessità del vivere, però vedete, che quello che più importa, il Signor ha voluto che si conservi come le biade, li vini e tutte le sorte di erbe; sí perché possiamo con essi sostentarci, come anco per poterci medicar ed agiutarci nelle tante infirmità che ci avvengono».
«Non dite così - disse allora Lucrezia - che ancor tutte le cose si ponno in qualche maniera conservar per qualche tempo almeno».
«Sì - aggiunse Cornelia - eccetto la fede e l’amor de gli uomini».
«Oh Dio - disse allora Leonora - che odo, che sento oggi? Che sciochezza è la vostra e che pazienzia è quella di noi altre. Io sto pur aspettando la vostra discrezione e, veggendo il gran salto che avete fatto oggi è poi forza che io rida al fine. Fate conto, che sete stata un altro Fetonte che di cielo sete cascata nell’acqua, ma quanto è stato di bene è che non vi sete poi affogata, com’egli fece, ma con bel modo sete ritornata a riva e smontata a terra; e mentre dovevate ragionar secondo il nostro proposito, sete entrata in gerondio d’animali, di arbori, di erbe e di medicine e non mirate, che sono sonate 21 ora e non avemo detto niente di quel che importa. Che è al caso nostro, di grazia, il discorrer sopra cose tali? Siamo noi medici? Lasciateli parlar loro di siloppi, di empiastri e sì fatte pratiche, che è una vergogna che noi ne trattiamo».
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